“Dio è Morto”, la scultura monumentale di Matteo Mauro critica di una società che perde la speranza della benevolenza
L’artista reinterpreta il sacrificio di Cristo alla luce di eventi recenti come guerre e pandemie. L’opera ricorda in alcuni tratti l’iconografia della sacra sindone, ma se ne discosta profondamente per il significato
A fine anni ’60 Guccini cantava la provocatoria “Dio è morto”, canzone di denuncia che raccontava il senso di sfiducia in una società che stava cambiando e si stava mettendo in discussione. Un sentimento che in molti sentono ancora molto attuale, e che Matteo Mauro, artista contemporaneo, tra i massimi esponenti italiani di arte generativa a livello mondiale, ha reso tangibile nell’opera “God is Dead”, Dio è Morto, una scultura realizzata in marmo di Carrara, iniziata nel 2021 e terminata nel 2025, e fotografato da Nicola Majocchi, che lavorò come assistente del leggendario fotografo Irving Penn a New York.
Una vera opera monumentale, con misure imponenti: 185 x 68 x 40 cm. Scolpita a mano, utilizzando le macchine solo per la sgrossatura, la rappresentazione allude ad un Cristo non più vitale ma in uno stato di decadimento ed erosione. Non più ricoperto da una pelle ancor fresca sotto la sindone, ma un uomo che, morto, rivela la sua eredità ossea. Crolla l’immagine del Dio.
L’opera potrebbe essere accostata al Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino, di cui ricorda non solo il soggetto, ma anche i panneggi, le trasparenze del velo sul volto e la posizione. Se, però, Sanmartino con questa scultura guardava alla salvezza e al riscatto dell’umanità attraverso la sofferenza di Cristo, nel lavoro di Matteo Mauro troviamo disillusione per il futuro della società, che si allontana sempre più dalla fede per scivolare verso la brutalità, l’odio e l’indifferenza.
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Negli anni della sua creazione, anni di pandemie, guerre ed una continua perpetrazione del concetto dell’odio sociale, l’artista vive un continuo processo di perdita della speranza di benevolenza e di una umanità che si muove verso la sua redenzione. Il sacrificio di Cristo quindi è vano, insieme al suo messaggio, il suo sogno di rinascita. Un’attesa risurrezione, che qui non avviene, ma che è sostituita da una decomposizione.
La scultura si posiziona, secondo l’artista, in una società che sempre più si distacca, non dal Dio, ma dalla sua parola, ed anche dove questa persiste, in modo formale, al contrario si nega nella realtà delle azioni pratiche. Un mondo quindi non positivamente secolare, ma negativamente perso nella sua brutalità. Un mondo lontano dall’ambita provvidenza.
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Questa scultura evidenzia il problema e le implicazioni di una società in cui la frase “Dio è morto” risuona con inquietante rilevanza. Affrontando la profonda solitudine e l’isolamento in assenza di intimità divina, offre una potente critica della visione moderna della vita, dei comportamenti sociali e della falsa spiritualità dell’uomo e del potere contemporaneo.